Numero 38
Sommario
- Editoriale Claudio Cerritelli
- Ritratto d'autore: Grazia Varisco Claudio Cerritelli
- Beni culturali Bruno Bandini
- Design Giovanni Federle
- Interpretazioni Debora Fella
- Memoria continua Rosanna Ruscio
- Dialoghi Francesca Arzani
- Ricerche Maria Teresa Antignani
- Letteratura Francesca Agostinelli
- Poesia Paola Fenini
- Scultura Rosanna Ruscio
- Riflessioni Franco Tripodi
- Interviste Francesca Arzani
- Parole e immagini Roberto Rocchi, Ayako Nakamiya, Daria Zacchetti Enisi, Sevil Amini, Simonetta Ferrante, Emilio Giossi, Isacco Del Castello
- Osservatorio di Claudio Cerritelli
Editoriale
Anche se una riflessione sulla libertà dell’artista rientra nel vasto territorio dei reati d’opinione o dei luoghi comuni frequentati nel corso dei tempi, più o meno contemporanei, questo limite consapevole non impedisce di spendere alcune parole al riguardo. Soprattutto per coloro che di aspirazione alla libertà ne ha fatto uso alterno, alternativo, alternante, altisonante, aberrante, nonché alienante.
Il sogno utopico della libertà è da sempre presente nelle dichiarazioni e negli scritti d’artista che rientrano nel complesso dibattito intorno alla funzione dell’arte nell’epoca della guerriglia consumistica delle immagini.
Oltre ai contributi disseminati nel vasto panorama delle avanguardie storiche, la memoria va spontaneamente alla stagione delle neoavanguardie degli anni Sessanta e alle ricerche di una nuova funzione comunicativa legata ad aree semantiche diverse. All’interno del territorio convulso della cultura di massa, la libertà dell’artista sta nel rovesciare le regole che governano non solo il linguaggio ma la condizione stessa dell’uomo, la prospettiva sociale e politica del suo agire.
Negli anni Settanta l’onda dell’impegno rifluisce dalle speranze progettuali verso zone interiori, respiri fisici e mentali di una tensione proiettata oltre il visibile, verso orizzonti instabili, con liberi processi di appropriazione dell’ignoto. Al di là dello stringente gioco delle tendenze più innovative, un senso di ritrovata libertà si avverte nelle riflessioni degli artisti più criticamente impegnati nella ridefinizione del loro ruolo, negando provocatoriamente gli assunti della responsabilità sociale per far emergere la pura indipendenza creativa. Non diversamente, per altri versanti, si aggirano anime rassegnate che esplorano non tanto le contraddizioni ideologiche del linguaggio quanto il flusso dubbioso dei significanti: libertà di non scegliere una direzione garantita, desiderio di sentirsi parte di un naufragio collettivo, condizione di allarmante perdita d’identità. Che nei decenni successivi fino ad oggi l’autonomia dell’artista si sia progressivamente dissolta nel territorio delle poetiche individuali e che la bella favola dell’artista libero sia sprofondata nella frenesia dell’apparire a tutti i costi, è questione sotto gli occhi di tutti, ma in fondo lo è sempre stata per chi identifica il valore dell’arte nel suo efficace dispiegamento mediatico. Ecco allora che la libertà dell’artista è un concetto che ha modificato il suo rapporto con i valori etici ed estetici, soprattutto politici, non estranei a un’ecologia sociale che respinge ogni tipo di autoritarismo culturale. Tutto il resto è terreno di conquista per operazioni che nulla hanno a che fare con la libertà dell’artista, con l’arte della libertà, con la vitalità critica del pensiero ancorato ai segreti dell’esistenza, insopprimibile esigenza di aprirsi o esporsi all’altro da sé. Libertà significa giocare contro la cristallizzazione dei linguaggi, non tanto negare le forme del sistema comunicativo e i suoi rituali, piuttosto capacità di sottrarsi al suo flusso mortificante, fuori dalle recite persuasive che lo attraversano, lontano dalla farsa dei compiacimenti libertari.
Così, l’artista è spesso soggetto a una doppia verità, quella di sentirsi “in teoria” autonomo dalle aberrazioni del sistema dell’arte, e quella di attendere “in realtà” che lo stesso sistema gli offra sia pur minimi bagliori della ribalta. (c.c.)