Numero 40
Sommario
- Editoriale Claudio Cerritelli
- Ritratto d'autore Claudio Cerritelli
- Attualità Bruno Bandini
- Arte e filosofia Domenico Andrea Virgallita, Filippo Moretti
- Personaggi Rosanna Ruscio
- Memoria continua Giorgio Casati
- Ricognizioni Benedetta Marangoni
- Esposizioni Valeriana Berchicci, Matteo Binci, Francesca Agostinelli
- Scultura Carlo Fabrizio Carli, Rosanna Ruscio
- Interviste Laura Tosca
- Riletture Rosanna Ruscio
- Scritti d'artista Maurizio Osti
- Sinestesie Fabio Strinati
- Arte e letteratura Vincenzo Pezzella
- Poesia Sergio Mandelli
- Osservatorio Raffaella Pulejo, Maria Grazia Massafra, Bruno D'Amore, Claudio Cerritelli
Editoriale
In quest’anno in cui si è riflettuto, da posizioni diversificate dell’arte e della critica, intorno al peso del Sessantotto, a 50 anni dal suo storico manifestarsi, emerge il decisivo orizzonte di senso in cui il ruolo dell’artista ha ridefjnito il rapporto con la dimensione sociale del suo impegno.
Si tratta di una coscienza politica che implica una critica del sistema dell’arte e dei suoi meccanismi di divulgazione e d’imposizione di valori, rispetto ai quali differenti fjgure d’artista hanno cercato di superare una visione soggettivistica immaginando un progetto di partecipazione collettiva, dunque eversiva nei confronti di ogni categorica omologazione culturale.
La prospettiva critica dell’artista come soggetto impegnato a trasformare la coscienza sociale del suo fare s’impone attraverso la necessità di sottrarsi al rischio di reintegrazione nel sistema contestato, in quanto non può esistere autentica socialità dell’arte al di fuori di una stretta relazione tra pratica creativa e contesto interagente, basato sul coinvolgimento intersoggettivo.
Che cosa abbia signifjcato questa tensione utopica è questione che va valutata caso per caso, attraverso il confronto –mai rassicurante– tra le molteplici spinte profuse intorno all’avvincente dialettica tra autonomia ed eteronomia dell’arte, all’interno della quale gli artisti hanno operato con quotidiane verifjche dei loro specifjci mezzi comunicativi. In tal senso, la prospettiva di un’arte che vuole ridefjnire la sua pratica culturale come riappropriazione della vita sottratta ai vincoli istituzionali, signifjca stimolare la complicità del fruitore nel processo di conoscenza fjsica e immaginativa del mondo, ma anche in rapporto con l’economia e con la politica.
Ciò che gli artisti hanno avvertito in quel mitico momento rivoluzionario è stata la necessità di una valorizzazione del lavoro intellettuale come strumento che si rapporta a un contesto più ampio di quello in cui materialmente e storicamente si pone, relazione –questa– che comporta un’inevitabile revisione del metodo conoscitivo e poetico del fare arte.
L’impressione – ripensando alle dinamiche di quella fjn eccessivamente mitizzata stagione culturale– è che ogni differente versante di rifmessione sia sempre riconducibile
al punto nevralgico del dibattito, vale a dire alla convinzione che il vero cambiamento dell’arte è quello che si attua attraverso la qualità dei modi specifjci con cui gli artisti esprimono nuove conoscenze, ulteriori aperture di senso, soglie sempre più ampie di pensiero, visioni illimitate che provengono dagli stessi fondamenti che qualifjcano socialmente gli atti innovativi del fare artistico.
Resta la percezione problematica che durante il mezzo secolo successivo al ’68 le pratiche dell’arte –pur essendosi attenuate e in generale defmuite in una diffusa vaporizzazione soggettivistica– non hanno comunque rinunciato a coltivare quel sogno liberatorio, a far almeno sopravvivere la sua traccia simbolica come memoria di una esperienza con cui bisogna positivamente –senza alcun timore di retorica– comunque e sempre fare i conti. (c.c.)
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