Numero 3/4

Copertina Nuova Meta: N° 3/4

Sommario

  • Editoriale di Claudio Cerritelli
  • Il piacere della polemica di Claudio Olivieri
  • Quale critica di Efi Strousa
  • Esercizi di lettura di Lorenzo Mango
  • Ritratto d'autore: Gianni Colombo di Claudio Cerritelli
  • Attualità di Debora Ferrari
  • Presenza del passato di Bruno Bandini
  • Interviste possibili di Marco Marchini
  • Il volto delle istituzioni di Valeria Tassinari, Rosanna Musumeci
  • L'arte della politica di Giovanni Pintori
  • Voci di galleria di Marco Marchini
  • Parole e immagini di Giancarlo Bargoni, Giuseppe Chiari, Eugenio Miccini, Bruno Querci, Grazia Varisco, Giorgio Vicentini, William Xerra
  • Viaggi su carta di Pirro Cuniberti
  • Poesie per l'arte di Marco Badi, Carlo Invernizzi, Edoardo Sanguineti
  • Osservatorio di Alberto Atzori, Paola Cammeo, Martina Corgnati, Luca Maria Venturi
  • Memoria continua di Luciano Bartolini
  • Altre riviste di Giorgio Bonomi
  • L'arte fotografata di Salvatore Mazza
  • Foto unica di Joe Oppedisano
  • Nautilus di Nino Piccolo
  • Questioni di architettura di Jasmine Pignatelli
  • Derive letterarie di Alessandra Bruni
  • Doremifasollasido di Lucia Romualdi
  • Trascrizioni di Marilisa Leone
  • Figure diverse di Stefano Turrini
  • Moda ad arte di Alessandra Vaccari
  • Racconti di design di Patrizia Mello
  • Personaggi di celluloide di Luigi Murolo
  • Congiunzioni di Antonella Tomasi
  • Archivio di Raffaele Monti
  • Un calcio all'arte di Gianluca Vialli

Editoriale

Interrogarsi sul senso dei nostri attuali sentimenti di fronte alla situazione confusa e disgregata della cultura artistica è forse una faccenda da evitare con cura. Chiedersi che senso ha continuare a fare e a scrivere di arte in un momento in cui il concetto di comunicazione ha esasperato il naturale respiro negando spazi e tempi idonei alla sua effettiva funzione è un'operazione da cui guardarsi bene.
Eppure, il rischio retorico di simili questioni va affrontato anche se la problematica è scoraggiante e può benissimo rientrare in quella sorta di auto-compassione che è una tentazione sempre irresistibile per critici artisti galleristi editori, a qualunque tipo di affari si siano convertiti.
Se - dunque - la cosiddetta attualità pare non proporre quasi nulla degno di polarizzare l'attenzione del pubblico, ebbene il lavoro da svolgere è sempre smisurato. Esso non riguarda le molestie della cronaca quotidiana, non comprende i risentimenti per questa o per quella tendenza artistica, non si riferisce neppure alle conseguenze catastrofiche del modo di gestire l'arte da parte delle istituzioni: sono cose sotto gli occhi di tutti. Il lavoro da fare indica un'esigenza non nuova, anzi antica, valida da sempre: conoscere e far comprendere che il senso dell'arte ci circonda, che esso è un'energia non estranea al rapporto con la realtà, una tensione che non si avverte nella banalità dei segni circostanti ma nell'incertezza dei sogni segreti, che abbiamo e continuiamo ad avere, fortunatamente. C'è una semplicità e una trasparenza che bisognerebbe ritrovare nel rapporto con l'arte, lo stimolo a rivolgersi ad un pubblico ideale, a immaginare la pratica creativa come un terreno di incontro con gli altri, recuperando il senso di una comunicazione intersoggettiva che pare sempre più compromessa da un meccanismo di chiusure reciproche, anche all'interno dello stesso universo delle professioni intellettuali. Nel recinto dell'arte si avverte che il dialogo ha il respiro corto, non si confrontano più le questioni legate alla ricerca, si parla dei personaggi e non delle persone, si leggono le recensioni e non si vedono le mostre, non si aderisce più al lavoro degli artisti anche solo per intimo, parziale e personale apprezzamento del loro valore. Non si vede più l'arte con i propri sensi ma attraverso la distanza degli strumenti che la riproducono, omologando e falsificandone la verità e la vitalità.
Non è sufficiente infatti analizzare, come in alcuni punti di questa rivista non si evita ahimè di fare, i fattori di analisi del potere artistico, le cosiddette pieghe recondite del sistema, quei ragionamenti pur necessari intorno all'inquinamento della comunicazione artistica che viviamo ogni giorno. Più che decifrare ossessivamente il sistema è forse più opportuno smettere di inseguire sterili politiche dell'arte e riconquistare il piacere empirico dell'oggetto artistico, esercitando il diritto ad avere rapporto anche solo con una minima parte dell'arte, una poesia, un quadro, un brano musicale: ma che sia rapporto vero, vera palpitazione dentro l'organismo misterioso dell'opera. Idealismo critico? Forse, ma ben saldo al terreno dell'arte, qualunque antropologia dell'espressione e della comunicazione essa comporti. Vi pare poco?