Numero 16

Copertina Nuova Meta: N° 16

Sommario

  • Editoriale di Claudio Cerritelli
  • Ritratto d'autore: Alberto Ghinzani di Claudio Cerritelli
  • Il piacere della polemica di Claudio Olivieri
  • Memoriacontinua di Carlo Invernizzi
  • Museologia di Bruno Bandini
  • Primo piano di Getulio Alviani
  • Strappi di Maurizio Medaglia
  • Dialoghi di Gillo Dorfles
  • Profili di Claudio Nembrini
  • Interpretazioni di Anna Strada
  • Percorsi espositivi di Giacinto Le Pera
  • Parole e immagini di Stefano Medaglia, Gottardo Ortelli, Pietro Mussini, Oki Izumi, Giovanni Campus, Tonino Milite, Antonia Beduschi, Azelio Corni, Mariangela De Maria, Enrico Badellino
  • Poesie per l'arte di Annamaria Janin
  • Arte e cinema di Leonardo Capano
  • Arte e infanzia di Marilisa Leone, Silvia Merico, Angelo Noce
  • Scenografia di Chiara Toloni
  • Collezioni pubbliche di Graziano Campanini
  • Osservatorio di Jagoda Barczynska, Robi Colangelo
  • Arte e astrologia di Pietro Gentili
  • Derive letterarie di Martino Negri

Editoriale

E' possibile che nell'attuale panorama artistico possa sopravvivere e aver voce in capitolo qualcosa di effettivamente autentico, capace di sottrarsi alle parole d'ordine della globalizzazione, con relativo progetto multimediale come unico approccio alla gestione al mondo?
E' possibile che il mito dell'internazionalismo rappresenti il solo modo per adeguare l'etica dell'arte agli orientamenti di un sistema che funziona, anzi deve assolutamente funzionare, come un'impresa produttiva per salvare l'arte dal suo irrimediabile fallimento?
E che cosa rimane dell'atto creativo se si perde il fondamento del suo originario progetto, vale a dire quello di essere "differente" rispetto all'omologazione dei linguaggi, capace di determinare in ogni modo lo spazio-tempo del suo rivelarsi, e di ribellarsi di fronte a qualunque tipo di coercizione programmata del suo ruolo?
E' almeno da un decennio che queste interrogazioni frullano nella testa di coloro che hanno a cuore le sorti dell'arte, non disposti ad accettare la logica sacrificale delle ultime frontiere tecnocratiche, quella logica aberrante che, sull'altare dell'attualità, vorrebbe imporre questa scelta obbligata e garantita da una ristretta cerchia di gestori.
Il fatto è che ognuno è libero di credere che il campo delle nuove tecnologie sia l'unico territorio possibile, il vero strumento competitivo per interpretare un'arte "al passo con i tempi", dove tutto il resto (dalla pittura alla scultura, dal disegno alla fotografia, dal manufatto al ready-made) non ha più ragion d'essere, anzi deve scomparire per affermare l'egemonia economica di una nuova elite culturale.
D'altro lato- ognuno è libero di credere che tutto ciò non corrisponda ad una scala di valori artistici ma imponga priorità che con l'arte spesso non hanno un rapporto privilegiato, originario, ma sottilmente strumentale.
Sembra infatti che la capacità d'invenzione e di approfondimento creativo non sia un atto necessario all'identità dell'arte, ne sia anzi un freno, un retaggio passato, un'esigenza superata: perché ciò che conta è la capacità di infiltrazione e di mistificazione del concetto stesso di arte che ha rinunciato ad esistere come inquietudine del pensiero immaginativo preferendo le sicurezze dei progetti economici della comunicazione. E già: perché senza questi caratteri l'arte non è più in grado di avere un ruolo, di interpretare il futuro, è patetico anacronismo di stampo idealistico, è provincialismo senza destino, è marginalità senza centro, dunque pensiero senza prospettiva.
Bisognerebbe avere una profonda coscienza della natura plurale e diversificata dei processi artistici per smettere di pensare all'arte come macchina di denaro e di potere concepito per inferiorizzare le altre concezioni artistiche. Bisognerebbe aver il coraggio di guardare da dove si è partiti, quali sono stati i moventi originari del percorso moderno dell'arte per cogliere il senso dell'oltraggio che quotidianamente si porta avanti nei suoi confronti.
Cresce in modo smisurato il modo perverso e spregiudicato con cui si vive l'economia politica del lavoro creativo e intellettuale, economia che da sempre esiste ed è dimensione da affrontare in maniera sacrosanta.
Il fatto è che la degenerazione del fare arte, fare critica, fare didattica, fare produzione culturale da parte di tutti noi, creatori, commentatori, divulgatori, fa venire i brividi e deve far riflettere.
Al di là di facili vittimismi di gente che si sente esclusa dai grandi sistemi di comunicazione si tratta di affermare una capacità autonoma dell'arte di essere autentica forza creativa, di non seguire le regole della sopraffazione politica perché quest'esercizio porta altrove, allontana dal centro del suo fondamento.
Non è necessario guardare indietro o avanti, perché non v'è cosa migliore che impegnarsi nel presente, rilanciando l'arte come esperimento totale, come conoscenza poetica del mondo, con buona dose di autocritica.