Numero 21

Sommario
- Editoriale di Claudio Cerritelli
- Ritratto d'autore: Eugenio Carmi di Eugenio Carmi, Claudio Cerritelli
- Grandi mostre di Bruno Bandini
- Interpretazioni di Elena Modorati
- Interviste di Judith A. Hoffberg, Elisa Del Prete
- Museografie di Maurizio Medaglia
- Campo fotografico di Alice Pasqualini
- Parole e immagini di G. Zappettini, G. Fioroni, V. Cecchini, O. Accorsi, R. Formenti, N. Menetti, E. Miccini, L. Pignotti, Malipiero, V. Anceschi
- Poesie per l'arte di Alberto Veca
- Scultura ambientale di Emanuela Uccello
- Osservatorio di Patrizia Serra, Silvia Ferrari, Marialisa Leone
- Libri di Laura Siviero, Ulisse Jacomuzzi
- Racconti di Francesca Matteoni
Editoriale
Che la realtà sia dominata dall'invadenza delle nuove tecnologie e che il senso dell'attuale ricerca artistica sia determinato dal loro potere ineludibile è questione che non fa più scalpore, anzi alimenta le contraddizioni necessarie al complesso divenire delle arti. Per essere all'altezza delle dinamiche della comunicazione l'artista è spesso chiamato a commisurare i suoi progetti alle innovazioni tecnologiche, ad agire dentro l'orizzonte dei sistemi di trasmissione ed elaborazione dei messaggi, fino a farsi strumento di estensione illimitata delle metamorfosi linguistiche.
Qualche domanda si fa strada tra queste allarmanti convinzioni.
Che cosa rimane della memoria individuale e dello spessore quotidiano dei segni in questo panorama in cui domina il punto di vista della tecnologia? Quale tipo di prospettiva è ancora possibile nei confronti del bisogno creativo di lasciare tracce tangibili del proprio irriducibile presente, chiamiamole opere, operazioni o, anche solo, utopie progettuali tese a elaborare nuove ipotesi operative?
Nelle controverse questioni legate all'uso delle tecnologie nel campo dell'arte non sembrano emergere rilevanti compromissioni con il grande progetto di digitalizzazione globale della società. Nel senso che il modo di pensare l'arte rimane ancora profondamente legato all'immediato desiderio di segnare il territorio della propria azione, e di segnarlo non rinunciando al tradizionale sperimentalismo delle tecniche e delle metodologie specifiche della storia artistica del secolo scorso: secolo di intrecci disciplinari, di connessioni di saperi diversi, di persistenze dell'antico, di sconfinamenti etici, estetici, simbolici. Ai teorici che dicono che ormai il tecnologico determina ogni aspetto dell'esistenza gli artisti interpongono le loro opere-operazioni come coscienza profonda della propria biologicità, condizione da cui non si recede così come si dovranno sempre fare i conti con la struttura vivente del corpo-mente.
Pur accettando l'idea che l'arte vada trasformandosi in relazione al mutare tecno-fisiologico del mondo, bisogna tuttavia non perdere di vista se stessi, qualunque trasformazione non potrà mai sopprimere i complessi sedimenti biologici di cui è fatto l'uomo. La coscienza di questa condizione è interna ad ogni scelta di espressione e di comunicazione, anche se è evidente che l'identità biologica degli artisti - la sfera del profondo sentire - è sottomessa ad un vero esproprio da parte dello strapotere delle tecnologie.
La salvezza sta nella forza sta nell'evento creativo, in cui possono conservarsi energie e ricreare tensioni vitali che non saranno mai azzerate, senza in tal senso annullare il codice della vita.
Il vero potere sta nella capacità dell'artista di far emergere l'oscuro fermento che si agita dentro se stesso, di avere la responsabilità della propria opera come universo creativo che crea emozione e stupore, oltre che intelligenza e rigore nazionale. Il linguaggio dell'arte non rappresenta la vita, è vita in atto, corpo concreto che si muove nella vita, mai appagato nell'interrogare il senso della vita. Tutto il resto è potere distruttivo della tecnologia come mortificazione stessa della vita, potere da cui l'arte si difende come totalità indivisibile, irriducibile.
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