Numero 30

Sommario
- Editoriale di Claudio Cerritelli
- Pensieri d'autore di Gillo Dorfles
- Eventi espositivi di Elisabetta Longari, Paolo Minetti, Raffaella Pulejo
- Interpretazioni di Carlo Vita
- Riflessioni di Bruno Bandini
- Istituzioni di Simona Santini
- Indagini di Anna Comino
- Memoria continua di Eristeo Banali
- Arte e scienza di Gabriele Falciasecca
- Fondazioni di Gisella Vismara
- Ricognizioni di Paolo Badini
- Figure della critica di Rosanna Ruscio
- Parole e immagini di Henri Chopin, Roberto Casiraghi, Giorgio Kiaris, Elena Debiasio e Franco Storti, Gianni Asdrubali e Pamela Ferri
- Poesie di Annamaria Janin
- Osservatorio di Julio Flores, Rino Bertini, Gaspare Luigi Marcone, Giorgio Cortenova
- Arte e musica di Franco Forzani Borroni
Editoriale
Proviamo a immaginare che ne sarebbe dell'arte attuale (concreta e virtuale poco importa, arte dislocata in varie pratiche linguistiche) se invece di assecondare le seduzioni della spettacolarità e dell'irresistibile successo globale essa accettasse il lento trascorrere del tempo e il silenzio sradicato della meditazione. Meditazione senza parametri a sostegno – s'intende- , forma di saggezza per contrastare il frastuono dei venditori d'arte a tutti i costi, strumento per concentrarsi su tutto ciò che di umano corporale e viscerale si è smarrito in questa corsa all'immagine esteriore e pubblica, efficace simulacro di se stessa e capace di persuadere anche la mente meno arrendevole. Meditazione, dunque, come respiro naturale che oscilla tra l'abbandono interiore e il desiderio di rivolgersi all'esterno, a un pubblico che voglia per davvero essere lettore senza imbonitore, un pubblico libero dai convincimenti di massa, autonomo dalle finzioni dei consensi programmati, un pubblico capace di affrontare le opere, di mettere in gioco i sensi senza subire i supplizi del marketing, croce e delizia del presente sempre urgente.
In tal senso, proviamo a non aver vergogna di nutrire antichi sentimenti, di ritornare alla forza creativa della meditazione come moto espansivo che supera le situazioni programmate ad arte, niente di male in questo, purchè il presente che ci tocca non sia sempre soggetto al culto del profitto come unico orizzonte di affermazione.
Proviamo a pensare di fare a meno di tutte le categorie o iperstrutture che sembrano indispensabili a noi che stiamo dentro il sistema dell'arte secondo automatismi che spesso hanno tradito il pensiero dell'origine. Certo, lo facciamo per sentirci partecipi di qualcosa simile ad un flusso rassicurante di idee e costumanze che via via si tramutano in derivati di noi stessi, non più legati agli slanci emotivi e ai sapori viscerali, rispondenti piuttosto a stanche ripetizioni devitalizzate di senso.
Proviamo dunque a liberarci di certi vizi coatti, a galleggiare insieme ai pensieri senza trappole, trampolini e destinazioni abusive, seguendo i movimenti del desiderio di partecipare al corpo dell'arte come una zona fantastica legata al tutto, passione insostituibile, stupore incalcolabile. Basterebbe ridurre al minimo le false pretese, i comportamenti eccedenti, le bramosie e gli egotismi da superstar, di attraversare la vita senza enfasi, senza dover rendere conto dei traumi sociali e degli insopportabili ordini del giorno imposti dalle notizie che non informano ma formano un sistema di predicati senza scampo.
Proviamo a ri-sognare il cosiddetto lavoro dell'arte come un'attività collettiva dove avvengono dialoghi come reali scambi d'esperienza, dove fare e pensare l'arte possa essere un campo di quotidiana e reciproca riflessione sia sul valore del comunicare sia sull'importanza del mistero che non si scioglie nell'atto stesso di trasmettere il suo incanto gli altri. Un'attività dove si può seguire senza ideologie esclusive sia la strada solitaria dell'essere asociale e totalmente libero da siffatti obblighi, sia la via dell'integrazione in un sistema che ha nella didattica dell'arte il suo punto di riferimento più accertato.
Le due cose potrebbero stare assieme senza contraddizione, anzi l'apparente contrasto è del tutto fasullo in quanto ci sono artisti grandi e meno grandi, solitari e strambi, impegnati politicamente o del tutto incapaci di esserlo, che hanno dimostrato e dimostrano forte attitudine a mettere la loro energia creativa a disposizione degli altri, senza neppure porsi il problema di quello che stanno facendo, lo fanno e questo basta.
Torniamo a distinguere ciò che serve e ciò che è inanimato, soprattutto non dimentichiamo che l'immaginazione come energia collettiva è l'autentica colleganza di spazi aperti che l'arte ha sempre sollecitato per guardare oltre il mondo.