Numero 31

Copertina Nuova Meta: N° 31

Sommario

  • Editoriale di Claudio Cerritelli
  • Ritratto d'autore: Carol Rama di Claudio Cerritelli
  • Eventi espositivi Luigi Sansone
  • Inediti Frederick K. Lang
  • Libri Isacco Del Castello
  • Memoria continua Alberto Veca
  • Critica e teoria Gisella Vismara
  • Indagini Anna Comino
  • Riflessioni Bruno Bandini
  • Storie di critica Rosanna Ruscio
  • Restauro Giovanna Fra
  • Derive letterarie Massimo Donà
  • Interpretazioni Elena Modorati
  • Parole e immagini Lucia Pescador, Enzo Cacciola, Enzo Capozza e Maria Rita Fedeli
  • Poesie Paolo Badini, Fanny Usellini
  • Luoghi della scultura Simona Santini
  • Congiunzioni Franco Forzani Borroni
  • Osservatorio Anna Comino, Claudio Cerritelli, Paolo Thea, Elisabetta Longari
  • Arte e musica Franco Forzani Borroni

Editoriale

L'arte non serve a niente e proprio per questo è preziosa e va coltivata a tutti i costi in una società come la nostra che è dedicata soprattutto a valenze utilitarie. Non abbiamo accordo sullo scopo dell'arte visiva e perciò non abbiamo più criteri comuni per farla e per guardarla. Non ha destinazioni pratiche di riferimento. Questo succede perché l'arte si è emancipata dai doveri ai quali era stata sottomessa per millenni. Riguarda pur sempre il senso di vita amore e morte ma ha perso il legame delle convenzioni che la guidavano. Ora sgorga dall'impulso personale senza più il sostegno della comunità. La sua presenza semplicemente testimonia che c'è.

La libertà fa paura. Per questo molti si sono messi a giustificare l'arte, dettando norme per garantire la qualità di certe opere e non di altre. Si dice deve esser nuova o deve essere tradizionale o deve essere tecnologica, o dev'essere fatta a mano.

Nascono grandi pasticci. Le definizioni di arte si moltiplicano. Siamo in un labirinto di confusione. L'arte è uno specchio del subbuglio culturale e sociale della nostra epoca. Così, ci si contrabbandano dentro dei furbi che calcolano come spremerne effetti sensazionali di breve durata.

È venuto il momento di rimboccarci le maniche e uscire dai circoli viziosi nei quali ci siamo impelagati. Non vogliamo più essere ostaggi della catastrofica noia prodotta dalla corsa all'ultima trovata e da futili stereotipi spettacolari.

Per incominciare, io metto in dubbio le regole che diamo per scontate e le trasformo in meri strumenti d'osservazione. Guardo con attenzione e rispetto ogni momento creativo che mi viene proposto e me ne infischio di definirne lo stile e determinare se è nuovo, vecchio, originale o coerente.

Mi tuffo senza remore nel brulichio di idee che mi circonda. Vivo la malinconia e la tenerezza della vita. Non tento di imporre le mie opinioni e cerco di ascoltare l'altro.

In arte, la certezza è malefica, l'incertezza nutre. Il fondatore della Bauhaus, l'architetto Walter Gropius, disse nel 1953: "La diversità è la più vera sorgente della democrazia. Ma fattori di convenienza come le pressioni di mercato, l'esagerata semplificazione organizzativa ed il guadagno come unico scopo, hanno menomato la capacità dell'individuo di cercare e di capire le più profonde potenzialità della vita". Le profonde potenzialità della vita sono ciò che tuttora persistono a cercare molti artisti, oltre ogni ostacolo.

Nel 1854 lo scrittore e artista inglese William Morris propose di rimandare l'arte fino a quando si fosse conseguita la giustizia sociale. Il teorico tedesco Theodor Wiesgund Adorno alla fine della seconda guerra mondiale disse che dopo Auschwitz non è più pensabile fare arte. Io sono fra coloro che invece pensano che perfino di fronte alle tragedie della crudeltà e, per contro, perfino a rischio di vederci circondati dagli intrallazzi del consumismo estetico, fare arte è una questione non negoziabile della sopravvivenza umana. Sta a noi resistere e rispondere. Ma come? In mille modi: ritagliarsi il luogo mentale e fisico entro il quale esercitare la propria creatività. L'arte va protetta, perfino quella disimpegnata da temi espliciti, l'arte che amo, all'orlo del non significato, che apre mille porte a chi guarda.

Le istituzioni sociali sono i guardiani dell'arte e possono coltivarne la fioritura. Ogni volta che si riducono le opportunità per l'arte, viene tradita la comunità. Come diceva un saggio imperatore taoista cinese: la gente ha bisogno oltre che di cibo anche di poesia. Ogni volta che vengono aperte le porte all'arte, anche a quella che non ci piace, si fertilizza la sensibilità di tutti.

Da Lucio Pozzi, La necessità dell'Arte (lectio magistralis) Accademia Cignaroli, Verona, 1 marzo 2010