Numero 33/34
Sommario
- Editoriale di Claudio Cerritelli
- Ritratto d'autore: Diana Bylon di Aldo Ricci
- Inediti di F.T Marinettidi Frederick K. Lang
- Dibattito di Bruno Bandini
- Rassegne di Raffaella Pulejo
- Premi di Giuseppe Furlanis
- Intervista di Gisella Vismara
- Storiografie di Giorgio Di Genova
- Personaggi di Patrizia Serra
- Ricognizioni di Mara De Matteis
- Interpretazioni di Giusi Randazzo
- Riletture di Rosanna Ruscio
- Arte moltiplicata di Sandro Parmiggiani
- Restauro di Giovanna Fra
- Esposizioni di Franco Forzani Borroni
- Osservatorio di Massimo Mori, Marialisa Leone, Gaspare Luigi Marcone, Francesca Agostinelli
- Memoria continua di Rosanna Ruscio
- Parole e immagini di Luisa Elia, Hiromi Tochihira, Stefano Turrini, Annamaria Gelmi, Stefano Medaglia
- Poesia e arte di Italo Lanfredini, Alberto Cappi
- Poesia e critica di Miklos N. Varga
- Racconti di Vita Fedeli
- Derive letterarie di Paolo Badini
- Divertissement di Silvia Ferrari
- Polemiche di Mario Raciti, Umberto Mariani
Editoriale
Museo del Novecento a Milano. L’Arengario non è uno spazio facile, è un miracolo che l’architetto Italo Rota sia riuscito a ridefinirlo nel modo in cui oggi si presenta. Tuttavia è un Museo piccolo, soffocato, il percorso è frastagliato, insufficiente per accogliere nel modo migliore un itinerario sull’arte italiana del XX secolo. Ci si aspettava di poter vedere una selezione delle opere che il Comune di Milano ha acquisito nel corso dei decenni, soprattutto grazie alle donazioni private. Per esempio, senza la Collezione Canavese ci sarebbero poche opere del Futurismo, inoltre un altro nucleo portante è costituito dalla Collezione Boschi che copre un ampio orizzonte di ricerca. In realtà, avrei visto in questo luogo un grande Museo dedicato soltanto al Futurismo e ai relativi materiali d’archivio, un progetto accarezzato dai diversi assessori alla cultura che si sono avvicendati negli ultimi decenni. Un’idea addirittura proposta da Depero e da Marinetti, quando nel 1933 hanno realizzato presso il Castello Sforzesco la grande mostra dedicata a Boccioni per il cinquantesimo della sua nascita. Nella prefazione della rivista “Dinamo-futurista” essi avevano auspicato che Milano potesse avere una collezione del Futurismo e delle Avanguardie, proposta avanzata sulla scia del fatto che il collezionista torinese Canavese aveva donato al Comune di Milano -proprio in quell’announ cospicuo nucleo di opere futuriste. Fino agli anni Cinquanta il patrimonio di opere acquisite passa dunque attraverso la generosità delle donazioni private, poi con l’attività delle Civiche Raccolte sono stati avviati numerosi acquisti di opere (direttamente dagli artisti o da gallerie), fino ai successivi decenni. Negli anni Ottanta –soprattutto- va ricordata l’attività meritoria di Mercedes Garberi che oggi mi sembra abbastanza dimenticata. Ci si augurava che l’immagine dell’attuale Museo riflettesse le donazioni e le acquisizioni fatte dal Comune di Milano, invece spesso non c’è alcuna traccia di tutto questo importante lavoro storico-critico. Alcuni movimenti artistici decisivi nella storia dell’arte a Milano sono stati incredibilmente dimenticati, non so se per scelta del comitato scientifico o per mancanza di spazio. Per esempio, il Novecento italiano di Margherita Sarfatti, di cui prima erano esposte le opere di Bucci (che tra l’altro ha dato anche il nome al Novecento), non è presente nel Museo, così come sono stati esclusi artisti come Oppi, Dudreville, Malerba. E non mi si venga a dire che il criterio risponde a logiche internazionali, perché neppure questa prospettiva emerge, è una specie di via di mezzo di cui non si comprendono i criteri effettivi. Il Museo avrebbe potuto puntare di più sull’arte milanese, e quando dico “arte milanese” penso appunto – dopo il respiro internazionale del Futurismo – al Novecento della Sarfatti, al Movimento Arte Concreta (MAC), al Movimento Nucleare, all’Arte Concettuale, per non parlare di validi esponenti della pittura (Lucio Del Pezzo, Valentino Vago, Sandro Martini, Mario Raciti, Gianfranco Pardi) e della scultura (Eliseo Mattiacci, Pino Spagnulo, Pietro Coletta, Nanni Valentini, Giò Pomodoro, Costantino Nivola) degli anni Sessanta e Settanta. Situazioni artistiche di cui il Comune di Milano possiede molte opere, e di cui non esiste minima traccia nell’attuale percorso espositivo. Si tratta di artisti che invece erano presenti nel precedente assetto del Museal MenuC) di Palazzo Reale, tutte pubblicate nel relativo catalogo. Per tornare alla prima metà del secolo, ci sono alcune esclusioni vistose, penso allo splendido “Uomo antico” di Adolfo Wildt, prima opera donata al Comune di Milano nel 1920, sempre presente e sempre pubblicata. Non ci sono opere di Alberto Martini e Gino Rossi oppure di Alberto Savinio e Adriana Bisi Fabbri che pur appartengono alle collezioni del Comune. Addirittura non c’è traccia di Sant’Elia e di Marinetti, di quest’ultimo era stata promessa una sala mai realizzata: del fondatore del Futurismo non c’è dunque testimonianza alcuna del suo ruolo fondamentale. Tutte questioni senza risposta che inducono a riflettere e a dire: un’occasione persa.
(da un’intervista inedita rilasciata alla nostra rivista da Luigi Sansone, febbraio 2011)